ITEATRO DELLA PERGOLA di Firenze, si sa, è un luogo magico e storicamente importante. Chiunque ci abbia recitato lo sa, lo sente, lo percepisce, ma sopratutto lo vede, se è un buon osservatore.
Difficile non vedere la targa in marmo fuori dal primo camerino che venne costruito per la divina Eleonora Duse nel 1906; un po’ più difficile vedere quella posta in onore e memoria di Antonio Meucci sulla prima colonna delle arcate di sinistra (guardando dalla platea) dove sbuca uno strano tubo. La targa è de 2008 ed è stata posta in occasione del bicentenario dalla nascita dell’inventore del telefono, ma perché proprio alla Pergola? Perché proprio su quella colonna?

L’arcano è presto svelato: lo strano tubo (A) che sbuca sotto la targa, è uno delle due “cornette” del “Telefono acustico” che il giovane Meucci, impiegato come tecnico nel teatro, progettò e realizzo per facilitare la comunicazione tra il palco e il ballatoio, dove stavano i tecnici che si occupavano dei movimenti delle scenografie durante gli spettacoli.

Per chi come me è cresciuto vedendo il bellissimo cartone animato Conan di Miyazaki, è una buffa e commovente scoperta: come dimenticare il Capitano Deis che strilla in un telefono acustico per comunicare all’intero della nave Barracuda?

Per tutti gli altri, il funzionamento è molto semplice: chi parla lo fa avvicinando la  bocca ad una estremità del tubo, e chi ascolta avvicina l’orecchio all’altra estremità. Facile no?

Peccato che l’estremità in ballattoio, circa 18 metri sul livello del palco, è stata da tempo murata e quindi la bella invenzione del Meucci, che ha “ascoltato” gli attori recitare sul palco della Pergola dal 1834, è da un po’ inutilizzabile e inutilizzata. Questo non mi ha di certo fatto desistere e il mio sopralluogo fotografico ha comunque raccolto qualcosa di interessante: dopo lungo picchiettare sul muto e una maldestra triangolazione con l’altra estremità del telefono sonoro, ho identificato il “tappo” in malta che ha sepolto il bel strumento comunicativo.

Eccomi quindi a pubblicare quanto scattato, con l’aggiunta di una breve ma interessantissima biografia del genio fiorentino dalla vita piuttosto avventurosa e sorprendentemente intrecciata al mondo del teatro.

Buona lettura.

ANTONIO MEUCCI INVENTORE DEL TELEFONO

LA VITA A FIRENZE

Antonio Santi Giuseppe Meucci nasce a Firenze, nel popoloso quartiere di Borgo San Frediano, cura di Cestello, in Via Chiara n. 475 (oggi Via de’ Serragli n.44), alle cinque del mattino di mercoledì 13 aprile 1808. Era il primogenito del trentaduenne Amatis di Giuseppe Meucci, e della ventiduenne Maria Domenica di Luigi Pepi. Il giorno dopo, il neonato, primo di 9 figli, ricevette il battesimo al Battistero di S. Giovanni.

Il 27 novembre 1821, all’età di tredici anni e mezzo, Antonio Meucci fu ammesso all’Accademia di Belle Arti, alla scuola di Elementi di Disegno di Figura, dove studiò per sei anni oltre alle materie base, la chimica e la meccanica (che comprendeva tutta la fisica allora conosciuta, compresa acustica ed elettrologia), introdotte nell’Accademia durante l’occupazione francese. All’età di 14 anni trova il suo primo impiego, grazie al padre che, essendo custode di presidenza del Buon Governo, si rivolse ai suoi superiori per far concedere un posto al figlio permettendo così di far fronte alle numerose spese della famiglia. Il 3 ottobre 1823 il capo delle guarnigioni preposte alle porte di Firenze ricevette la seguente comunicazione:

«Sig. Gio. Boldrini, capo dei Portieri Mlto Ill. Sig. Sped. 3 ottobre 1823 La prevengo che in rimpiazzo dei due vacanti posti di Portiere soprannumero, sono stati nominati Luigi Ficini e Antonio Meucci, con gli obblighi e condizioni annessi al determinato posto. Ella ne farà occorrenti partecipazioni.»

Il 12 maggio 1824, dopo aver fatto domanda per ricoprire il posto di aiuto portiere su consiglio del padre e aver aspettato 7 mesi circa, Antonio fu destinato alla porta di S. Niccolò.

IL CARCERE

Un anno circa dopo la promozione ad aiuto portiere, ai primi di aprile del 1825, Antonio trovò un lavoro extra per la preparazione e il lancio dei fuochi d’artificio, presso l’impresario Girolamo Trentini, per festeggiare il parto imminente della Granduchessa Maria Carolina di Sassonia. Tutto andò bene per le prime due serate, ma la terza sera, il 4 aprile 1825, ci fu un incidente in seguito al quale risultarono ferite ben 8 persone. I risultati dell’inchiesta mandarono Antonio Meucci, Giuseppe Franci e Vincenzo Andreini alla Ruota Criminale, che per fortuna concesse loro il beneficio del dubbio. Ma il 4 giugno dello stesso anno, Antonio fu incarcerato in seguito alla caduta accidentale in un fosso del collega Luigi Ficini, il quale riportò la frattura di una gamba. Venne accertato che l’incidente era da attribuirsi a negligenza di Meucci per aver dimenticato di inchiodare la porta che stava davanti al fosso. L’incidente con i fuochi non aiutò l’esito della condanna, che prevedeva una durata di otto giorni, di cui i primi tre solo a pane e acqua. Grazie al padre che scrisse una lettera di supplica al Buon Governo, Antonio fu scarcerato tre giorni prima del previsto. All’inizio del 1826 si fece trasferire alla porta di S. Gallo, più vicina a casa, ma il 2 maggio 1829 venne nuovamente incarcerato, per essersi invaghito della figlia del trattore che corrispondeva apertamente, ma che aveva rifiutato più di una volta altri giovani, tra cui Gaetano del Nibbio, anche lui portiere alla porta di S. Gallo. Essendo una certa Teresa Paoletti gelosa di questa relazione, del Nibbio ne approfittò per infierire su Antonio provocandolo con insulti feroci, facendosi così piantare in asso durante il servizio. A quel punto del Nibbio poté accusarlo di abbandono dal posto di lavoro, facendo venire tutti a conoscenza della tresca amorosa. Antonio fu quindi incarcerato dal 2 maggio 1829 al 1º giugno 1829 e sospeso dalla paga con condanna nelle spese e con l’impossibilità di trattare con le donne coinvolte in questa tresca. Venne in seguito imprigionato altre volte, la prima per aver parlato con una delle donne per cui era stato imprigionato la volta precedente, e la seconda per essere arrivato in ritardo al lavoro. Il 13 luglio 1830 ottenne le dimissioni presentate precedentemente, ma, successivamente, tentò di farsi riassumere come aiuto portiere scrivendo una supplica al Buon Governo. Antonio si affiliò alla carboneria e prese parte ai moti dal 1831 al 1833, anno in cui venne incarcerato per tre mesi con F.D.Guerrazzi. Secondo Carlo Lucarelli, che si dichiara suo discendente: “Aveva 23 anni quando, infervorato per i moti insurrezionali del ’31 che stavano scuotendo l’Italia, strappò le foto del Granduca di Toscana Leopoldo II sotto gli occhi della polizia”.

IL LAVORO AL TEATRO DELLA PERGOLA

Date le dimissioni, Meucci trovò lavoro per qualche serata in vari teatri tra cui il Teatro della Quarconia, l’Alfieri e il Goldoni. Dato che aveva già lavorato saltuariamente da ragazzo al Teatro della Pergola come aiutante degli attrezzisti, provò anche qui e il custode gli consigliò di tornare verso fine ottobre 1833 per incontrare l’impresario Alessandro Lanari e gli disse che il primo macchinista Artemio Canovetti cercava proprio una persona che avesse frequentato l’accademia e che si intendeva di meccanica. Infatti, il Teatro della Pergola era un prodigio della tecnica teatrale; inoltre dietro questo teatro agiva un gruppo di carbonari che teneva i contatti con Genova per appoggiare l’azione di Giuseppe Mazzini. Nel luglio del 1834 Meucci era diventato, oltre che aiuto attrezzista, anche uomo di fiducia di Lanari, come provato da 4 lettere scambiate tra i due, conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Il lavoro al Teatro della Pergola costituì per Antonio un’esperienza di altissima professionalità. In questo teatro si faceva un po’ di tutto, dalla meccanica alla chimica, dall’ottica all’elettricità e in generale tutta la fisica, oltre alle arti figurative. Fu proprio nel teatro che Antonio mise a frutto la preparazione tecnica ricevuta in Accademia. In un piccolo sgabuzzino assegnatogli impiantò il suo primo laboratorio; qui costruì un telefono acustico per comunicare tramite un’imboccatura dal piano del palcoscenico alla graticcia di manovra, posta a circa 18 mt di altezza, grazie a un tubo acustico che correva incassato nel muro. Questa innovazione di Meucci apportata al teatro fu gradita a tutto il personale e particolarmente ai soffittisti, non tanto per il bisogno di trasmettere gli ordini in silenzio, quanto più per permettere di lavorare in sicurezza e con facilità. Fu al teatro della Pergola che conobbe una giovane assistente costumista, Maria Matilde Ester Mochi, con cui si sposò il 7 agosto 1834 nella chiesa di S. Maria Novella. I due chiesero di essere dispensati dalle pubblicazioni del loro matrimonio, evitando in questo modo di svelare il domicilio di Antonio, dati i suoi problemi con la giustizia. 

VERSO CUBA

A quel tempo l’opera italiana era forse al culmine della celebrità in tutto il mondo e molti impresari stranieri venivano in Italia per scritturare le compagnie italiane. Don Francisco Marty y Torrens, impresario teatrale proveniente dall’Avana, pensò che avrebbe potuto mettere insieme una troupe in Italia, farla debuttare e recitare per un paio di stagioni al Teatro Principal, il più importante teatro dell’Avana, ed utilizzarla, successivamente, per dar prestigio al nuovo Gran Teatro de Tacón, quando ne fosse stata ultimata la costruzione. Scritturò ben 81 persone, per i più svariati ruoli e ad ogni livello, con un contratto di 5 anni, tra cui Antonio Meucci e la moglie Ester. Ester sarebbe stata assunta come direttrice della sartoria del teatro e Antonio avrebbe assunto le funzioni di ingegnere, macchinista e disegnatore scenico. Inoltre avrebbero potuto alloggiare, a costruzione ultimata, in uno degli appartamenti che erano previsti nelle dipendenze del nuovo teatro. L’offerta fu accettata di buon grado dai coniugi Meucci, indotti ad abbandonare Firenze anche a causa dei problemi avuti con la giustizia e che, tra l’altro, non gli permisero di ottenere il passaporto, costringendoli quindi a lasciare il Granducato più o meno clandestinamente. Don Francisco noleggiò un brigantino sardo denominato Coccodrillo al porto di Livorno omologato per il trasporto di merci, ma che poteva essere facilmente adattato al trasporto di passeggeri. Per quella nave il capitano non era tenuto a depositare la lista dei passeggeri alla capitaneria in quanto, formalmente, non avrebbe dovuto averne. Così dava notizia della partenza da Livorno della troupe di Don Francisco il Giornale di Commercio del Porto-Franco di Livorno del 7 ottobre 1835:

“il dì 5 Per l’AVANA, Brig. Sardo il Coccodrillo, capit. Bartolommeo Lombardo con div. Articoli.”

Come si può vedere, nessuna menzione degli 81 passeggeri; al contrario, così dava notizia dell’arrivo il giornale El Noticioso y Lucero dell’Avana, il 17 dicembre 1835:

“PUERTO DE LA HABANA ENTRADAS DE AYER De Liorna en 72 días berg. Sardo Coccodrill, cp. Lombardo, ton. 275, en Lastre, à los Sres. Mariategui K. Y cpª -Passag. 81 individuos de la compañia De ópoera italiana para esta ciudad.”

L’AVANA

I quindici anni all’Avana furono per i coniugi Meucci i più felici e redditizi della loro vita. Il contratto era previsto per 5 anni rinnovabili ed era compreso, oltre al salario, anche l’alloggio e il personale di servizio gratuito. Qui Antonio ebbe modo di parlare con Don Manuel Pastor, ingegnere capo tecnico e meccanico e ispettore delle fortificazioni dell’isola. Data la scarsa cultura nel settore della chimica, Pastor consultò Meucci sul problema dell’acqua in relazione agli inconvenienti che si stavano verificando al nuovissimo acquedotto Fernando VII, costruito sotto la sua direzione. L’intervento di Antonio mirò a risolvere i problemi relativi alla durezza dell’acqua e alla presenza di inquinanti vari che i filtri meccanici non riuscivano a trattenere. Il problema venne risolto con costanti analisi chimiche e successive aggiunte calibrate di sostanze adeguate come la soda.

Nella primavera del 1838, ultimati i locali della dipendenza del Gran Teatro, Antonio e la moglie vi si trasferirono. Qui Meucci aveva a disposizione un ampio laboratorio-officina per gli attrezzi ed il macchinario del teatro e Ester aveva a disposizione un ampio laboratorio di sartoria teatrale. Antonio era affascinato dalla chimica e una delle prime tecniche che provò fu la conservazione dei corpi defunti. Infatti, con lo sviluppo della navigazione oltre oceanica, la conservazione dei corpi dei defunti assunse una rilevanza commerciale notevole, soprattutto per l’esigenza di riportare in patria, in buono stato di conservazione, salme di persone decedute nel nuovo mondo. Si trattava dunque di un buon affare che, dati gli investimenti fatti nell’acquisto di costosi materiali e attrezzature, non andò a buon fine. Agli inizi del 1842 Antonio si interessò alla lettura di alcuni libri che trattavano di galvanostegia, cioè della ricopertura elettrochimica, tramite apposite batterie, con oro o argento di oggetti di metalli meno pregiati come ferro, ottone o rame. Nell’ottobre del 1843, venne mandato dalla Spagna un nuovo governatore, Leopoldo O’Donnell, che per risparmiare tempo e denaro sulle forniture dell’esercito spagnolo, stipulò un contratto con Meucci, dalla durata di circa 4 anni, per galvanizzare tutto ciò che veniva richiesto, compresi alcuni oggetti privati. Antonio Meucci fu il primo ad introdurre la galvanostegia in America. La popolarità di Meucci all’Avana aumentò a tal punto che, il 16 dicembre 1844 gli fu dedicata una serata d’onore al Gran Teatro de Tacón, il quale, dopo un violento uragano e una breve riapertura, venne ristrutturato grazie alla direzione generale dei lavori affidata proprio ad Antonio Meucci. Egli introdusse un nuovo complesso di sipari e un nuovo sistema di ventilazione da lui concepito, installando anche una nuova macchina importata dagli Stati Uniti con la quale si poteva alzare e abbassare il palco in pochi minuti. Si dice anche che Antonio sia stato vicino agli insorti, aiutando con denaro la rivoluzione del 48’.

LA TRASMISSIONE DELLA VOCE

Nel 1849, egli ottenne, primo nella storia, la trasmissione della parola per via elettrica, divenendo così, in assoluto, il primo pioniere del telefono. Meucci utilizzava il laboratorio per le attrezzerie del teatro, e per la piccola officina di deposizione galvanica, e proprio li, nel 1849, Meucci compì il suddetto primo esperimento. Il laboratorio era comunicante con il piccolo appartamento dei Meucci, costituito da tre stanze più il laboratorio di sartoria della moglie. Più precisamente, poiché nel 1848 era scaduto il suo contratto col Governatore per l’argentatura e doratura di oggetti militari, Meucci pensò di sperimentare, nei medesimi locali, l’elettroterapia, allora di grande attualità, grazie anche agli studi e alle teorie sull’elettricità e sul magnetismo animale dell’abate Pierre Bertholon e del medico austriaco Franz Anton Mesmer. Meucci faceva accomodare il paziente in una stanza del suo piccolo appartamento, mettendogli in mano due spatole costituite da una linguetta di rame e da una impugnatura isolante in sughero, quindi si posizionava nel locale batterie (uno dei locali delle attrezzerie del teatro), facendo passare i fili – di rame isolato – attraverso il proprio appartamento e attraverso il piccolo cortile che separava le due strutture. Il filo veniva svolto da un rotolo, per portarlo alla lunghezza desiderata. Meucci teneva in mano una spatola simile a quelle usate dal paziente, allo scopo di inserirsi in serie ad esso, di quando in quando, così da valutare l’intensità della scossa e variare il numero di elementi di batteria da usare e, nello stesso tempo, da verificare quanto si andava dicendo a quei tempi, e cioè che così si poteva capire “dove fosse la malattia” del paziente. Poiché quest’ultimo sembrava affetto da reumatismi alla nuca, Meucci gli ordinò di mettere una delle spatole in bocca, tenendola in mano dalla parte del sughero, e di stringere l’altra spatola, con l’altra mano, dalla parte del rame: in tal modo la corrente avrebbe attraversato il corpo del paziente passandogli attraverso la nuca. Avvenne che il paziente gridò per la scossa ricevuta, anche in relazione alla forte tensione inizialmente utilizzata da Meucci (60 batterie Bunsen in serie, per un totale di circa 114 V). Meucci udì distintamente il grido come provenisse dalla linguetta metallica del suo strumento, strumento che, data la sua postura si trovava vicino al suo orecchio sinistro. Era evidente – e Meucci lo capì immediatamente che la sua linguetta gli trasmetteva il suono, vibrando come fosse la foglia di un elettroscopio, cioè grazie a un effetto elettrostatico (potenziato dall’elevato valore della tensione impiegata).

Fu nel corso di esperimenti di elettroterapia che Antonio Meucci scoprì, nel 1849, la trasmissione della voce per via elettrica, divenendo così, in assoluto, il primo pioniere del telefono elettrico della storia. Antonio diede subito al suo sistema il nome di “telegrafo parlante”, ribattezzato successivamente telettrofono.

NEW YORK

Nel 1850 veniva a scadere il terzo rinnovo del contratto dei coniugi Meucci con Don Francisco, al quale, a sua volta, scadeva la concessione governativa per la gestione in esclusiva degli spettacoli teatrali all’Avana. Molti amici di Meucci gli consigliarono, specie dopo aver ascoltato il racconto degli esperimenti da lui eseguiti, di spostarsi verso New York, perché all’epoca non c’era miglior terreno per sfruttare il suo ingegno. Inoltre, vi era la concreta possibilità che il governatore fosse venuto a sapere dei soldi inviati a Garibaldi, cosa non molto preoccupante data la buona fama di Antonio, ma comunque da non sottovalutare. Il 23 marzo 1850, tutti i componenti dell’Opera Italiana, insieme alla famiglia al completo dell’impresario che aveva pensato bene di dedicarsi ad organizzare spettacoli negli Stati Uniti, dato il crescente interesse per l’opera degli americani, partirono per Charleston. Antonio non partì con loro, molto probabilmente a causa della morte della figlia, avvenuta a ridosso della progettata partenza. Tale notizia risulterebbe da un’unica fonte ritenuta attendibile, il “The Sun”, che così riporta nel necrologio di Antonio Meucci pubblicato il 19 ottobre 1889: “In 1850 Meucci come to New York from Cuba, where is only child, a girl of 6, had just died”. Il fatto che non fossero nati figli dalla coppia nei 10 anni antecedenti, potrebbe essere spiegato dalla grave forma di sifilide contratta da Antonio all’età di 21 anni, la quale avrebbe potuto indurre un certo grado di sterilità. Domenica 7 aprile 1850, il “Diario de la Marina” dava la notizia della partenza prossima dei coniugi Meucci. La partenza della Norma, una nave americana, fu fissata in un primo momento per il 16 di aprile, ma partì invece martedì 23 aprile 1850. L’allontanamento dall’Avana giovò anche alla moglie Ester, data la notevole presenza di umidità dannosa per la sua salute. Il 1º maggio 1850 i coniugi Meucci sbarcarono a New York, stabilendosi quasi subito a Clifton, un piccolo quartiere nell’isola di Staten Island, dove rimasero fino alla morte. Qui Antonio acquistò un cottage (oggi trasformato nel Garibaldi-Meucci Museum) e aprì una fabbrica di candele steariche, secondo un progetto di sua concezione. Garibaldi, anch’esso giunto a New York, venne ospitato da Meucci tra il 1850 e il 1853, come possiamo constatare dalle sue Memorie in cui scrive: “Antonio si decise a stabilire una fabbrica di candele e mi offrì di aiutarlo nel suo stabilimento. Lavorai per alcuni mesi col Meucci, il quale non mi trattò come un lavorante qualunque, ma come uno della famiglia, con molta amorevolezza”. La fabbrica, sebbene fosse la prima del suo genere nelle Americhe, non ebbe molto successo e Antonio la trasformò successivamente in una fabbrica di birra lager, molto richiesta nella zona. Anche quest’ultimo tentativo non andò a buon fine, a causa di un certo J. Mason, a cui Meucci aveva affidato la direzione amministrativa e commerciale. Il 13 novembre 1861, il cottage dei coniugi Meucci, con tutto il contenuto, venne venduto all’asta, ma fortunatamente il compratore gli consentì di abitarci senza pagare alcun affitto. Da quel momento la loro situazione economica continuò a peggiorare ulteriormente. 

ESPERIMENTI SUL “TELETTROFONO”

Nel 1854 la moglie Ester fu costretta a letto da una grave forma di artrite reumatoide, che la rese permanentemente invalida, fino alla morte, avvenuta il 21 dicembre 1884. Antonio per poter comunicare con la moglie, al secondo piano del loro cottage, mise a frutto la sua scoperta dell’Avana del 1849 e realizzò un collegamento telefonico permanente tra la camera da letto e la cantina, poi di qui al suo laboratorio esterno. Successivamente, dal 1851 al 1871, Meucci provò sul collegamento più di trenta telefoni di tipi diversi di sua concezione. Riuscì ad ottenne un primo soddisfacente risultato tra il 1858 e il 1860, usando un nucleo magnetico permanente, una bobina e un diaframma, ma fu solo tra il 1864 e il 1865 che ne riuscì a realizzare uno praticamente perfetto. Questo telefono aveva tutti i requisiti di uno moderno; era infatti stato risolto il problema del diaframma in pelle, sostituito con uno interamente in metallo che poteva essere bloccato lungo tutta la circonferenza grazie a una scatola da barba il cui coperchio venne forato per ricavarne un cono acustico, e i problemi riguardanti la comunicazione a lunga distanza, che i laboratori Bell avrebbero individuato molti anni più tardi. Nello stesso anno, fu data dalla stampa la notizia dell’invenzione di un telefono da parte del valdostano Innocenzo Manzetti. Antonio in questa occasione rivendicò la sua priorità, con una lettera inviata al direttore del Commercio di Genova il 13 ottobre 1865 e che venne pubblicata il 1º dicembre. Inoltre, il 30 luglio 1871, alla già disagiata situazione economica, si aggiunse un’ulteriore sciagura a causa dell’esplosione del traghetto Westfield, che collegava New York a Staten Island, e che rese Meucci infermo per molti mesi. Ciononostante, ancora convalescente, si impegnò con tutte le sue forze per rendere operativa la sua invenzione.

IL BREVETTO DEL “TELETTROFONO”

Il 12 dicembre 1871, Meucci fondò con tre italiani la “Telettrofono Company”, il cui obbiettivo primario era quello di effettuare tutti i necessari esperimenti per la realizzazione del Telettrofono. Il contratto prevedeva inoltre di estendere le attività della società in ogni stato d’Europa e del mondo, nei quali la Telettrofono Company si proponeva di ottenere brevetti, di formare società affiliate e di concedere licenze. Tuttavia la compagnia si dissolse nel giro di un anno e, fallito il precedente tentativo del 1860 di proporre la sponsorizzazione dell’invenzione a qualche imprenditore italiano, il 28 dicembre 1871 Antonio Meucci depositò presso l’Ufficio Brevetti statunitense, a Washington, il caveat n. 3335 dal titolo “Sound Telegraph” in cui descriveva la sua invenzione, in attesa di trovare i 250$ per depositare un brevetto regolare. Nell’estate del 1872, Antonio Meucci si rivolse al Vice Presidente Mr. Edward B. Grant dell’American District Telegraph Co. di New York, del quale erano consulenti Alexander Graham Bell ed Elisha Gray, affinché gli fosse concesso di sperimentare il suo telettrofono nelle linee telegrafiche di quella compagnia. Poiché Grant, dopo aver promesso il suo aiuto, tergiversava con pretesti vari, dopo due anni Meucci richiese la restituzione delle descrizioni e dei disegni consegnati, ma gli fu risposto che erano stati smarriti. Nel dicembre 1874, Antonio non riuscì più a trovare qualcuno che gli prestasse i 10$ necessari per pagare la tassa annuale di mantenimento del suo caveat e pertanto, esso decadde il 28 dicembre 1874, secondo quanto previsto dalla allora legge brevettuale statunitense. Tuttavia, alcuni critici hanno messo in dubbio tale aspetto della vicenda, poiché Meucci fu in grado di brevettare altre invenzioni (non correlate al telefono) al costo di 35$ l’una negli anni 1872, 1873, 1875 e 1876. Venerdì 18 ottobre 1889 alle ore 9:40 antimeridiane, Antonio Meucci morì nella sua casa di Clifton, Staten Island, ancora fiducioso nel pieno riconoscimento della priorità della sua invenzione. Le sue ceneri si trovano al Garibaldi-Meucci Museum di New York, assieme alla tomba della moglie Ester. 

L’INVENTORE DEL TELEFONO

Finalmente, l’11 giugno 2002, il Congresso degli Stati Uniti d’America proclamò come unico inventore del telefono Antonio Meucci.

ALTRI BREVETTI

– Bevande frizzanti a base di frutta e vitamine, che Meucci trovò utili durante il suo ricovero causato dalle ustioni subite per l’esplosione del Westfield ferry (US Patent No. 122,478).

– Condimento per pasta e altri cibi in accordo con Roberto Merloni, General Manager della STAR, Agrate – Milano (US Patent No. 142,071).[25]

– Fogli di carta bianca e resistenti, a cui si interessarono molti giornali dell’epoca.

– Nuovo modo di fabbricare candele, ancora oggi usato.

– Oli per vernici e pitture.

Basilio Catania, Antonio Meucci – L’inventore e il suo tempo – da Firenze all’Avana, Roma, 1994, Seat, divisione STET, Editoria per la comunicazione.

CRONOLOGIA DELLE INVENZIONI DI ANTONIO MEUCCI IN TELEFONIA

• 1834 – al Teatro della Pergola di Firenze, realizza un telefono acustico.

• 1849 – all’Avana, durante esperimenti di elettroterapia, scopre la trasmissione della voce per via elettrica (combinando l’effetto elettrostatico e della resistenza variabile).

• 1851 – a Clifton, Staten Island (New York), dove abiterà fino alla morte, ripete l’esperimento dell’Avana.

• 1854 – 1855 – installa un collegamento telefonico funzionante fra i due suoi laboratori (uno nel basamento del cottage, l’altro nel cortile) e la stanza della moglie Ester, invalida, al terzo piano del cottage; in esso sperimenta diversi tipi di telefono, sfruttando effetti elettrostatici ed elettromagnetici.

• 1856 – ottiene una buona qualità dal suo primo telefono elettromagnetico, realizzato con nucleo a ferro di cavallo e con un diaframma di pelle animale, irrigidito con bicromato di potassio, e recante un dischetto metallico incollato al centro.

• 1857 – 1858 – realizza un telefono elettromagnetico di ottima qualità, con nucleo magnetizzato permanentemente e con vite di regolazione del traferro, riuscendo così ad eliminare la batteria. Il pittore Nestore Corradi, su sue indicazioni, esegue un disegno, raffigurante due persone sedute, nell’atto di comunicare telefonicamente, evidenziando il sistema di chiamata con tasto Morse, il circuito antilocale ed il carico induttivo della linea.

• 1859 – realizza una batteria a secco (nove anni prima di Leclanché), da impiegare nel suo sistema telefonico.

• 1860 – incarica il suo amico Enrico Bendelari, in partenza per l’Italia, di trovarvi finanziatori che sviluppino il suo sistema nella madrepatria. Subito dopo pubblica sull’Eco d’Italia di New York una descrizione della sua invenzione.

• 1861 – perfeziona il telefono elettromagnetico usando un nucleo lineare e una bobina più corta e più larga, posta vicina al polo magnetico. Bendelari torna dall’Italia (allora, in pieno rivolgimento politico e militare) senza esser riuscito a suscitare interesse al telefono.

• 1862 – si concentra sulla linea di trasmissione, sperimentando diverse strutture e trattamenti del conduttore, nonché la messa a terra, e conduce esperimenti sul carico induttivo della linea.

• 1864 – 1865 – realizza quello che definì “il miglior strumento della mia vita”, usando una scatola di sapone da barba e un diaframma interamente metallico, ben bloccato lungo la circonferenza dal coperchio a vite della scatola. La bobina è realizzata con filo molto sottile e con un gran numero di spire.

• 1865 – 1867 – sperimenta molte varianti del suo telefono, usando diversi tipi di nucleo magnetico (a ferro di cavallo ripiegato, a cavaturaccioli, a toroide con shunt magnetico, …) senza, peraltro, ottenere ulteriori miglioramenti.

• 1870 (agosto) – ottiene la trasmissione della parola alla distanza di circa un miglio, usando come conduttore una treccia di filo di rame isolato in cotone; un mese più tardi perfeziona il suo metodo del carico induttivo, ripartendolo lungo la linea.

• 1871 (30 luglio) – durante la lunga infermità, succeduta allo scoppio delle caldaie del traghetto Westfield, la moglie Ester vende a un rigattiere, all’insaputa del marito, tutti i modelli di telefono da lui realizzati, per poter pagare le spese mediche e per comprare il necessario per vivere.

• 1871 (12 dicembre) – appena lasciato il letto, fonda a New York, con tre soci italiani, la “Telettrofono Company”, con lo scopo di organizzare esperimenti in campo del suo sistema, ottenere brevetti (anche all’estero), e portare al pubblico la sua invenzione. Con venti dollari avuti dai tre soci, il 28 dicembre Meucci deposita al Patent Office il caveat (preliminare di brevetto) “Sound Telegraph”. Pochi mesi dopo, uno dei soci muore, un altro si trasferisce all’estero e il terzo ritorna in Italia, sciogliendo, di fatto, la compagnia.

• 1872 – ottiene da Mr. Edward B. Grant, Vice Presidente dell’American District Telegraph Co. di New York, la promessa di effettuare prove in campo sulle sue linee telegrafiche.

• 1872 – 1873 – sviluppa uno speciale telefono per sommozzatori, su richiesta di William Carroll, un sommozzatore che, avendo saputo dell’invenzione del telefono, chiede a Meucci di adattare il dispositivo in modo da consentire le comunicazioni fra sommozzatori e nave appoggio.

• 1874 – dopo due anni di continui rimandi e scuse, Mr. Grant dichiara di aver perduto le carte ricevute da Meucci e dice che non farà le prove che aveva promesso.

• 1876 – Bell ottiene il suo primo brevetto. Appena ne è informato, Meucci rivendica ripetutamente la sua priorità e cerca sostenitori alla sua causa.

• 1879 (15 novembre e seguenti) – sviluppa un sistema di diffusione con altoparlanti elettromagnetici, da collocarsi sulla volta di un teatro o di una grande sala di conferenze, anche per trasmissione a distanza di spettacoli o convegni, a mezzo telefono. Concepisce, inoltre, un sistema di localizzazione di navi in caso di nebbia e studia un metodo per compensare la deviazione delle bussole in caso di perturbazioni atmosferiche o di intensi campi magnetici locali.

• 1883 – pubblica sui principali giornali di New York una lettera in cui si proclama unico e vero inventore del telefono, offrendo di esibire le prove in suo possesso. Molti si fanno avanti (tra i quali l’American Bell Telephone Co.) per acquistare i suoi diritti ed infine (settembre 1883) egli li cede ad un sindacato di uomini d’affari di Filadelfia e Chicago, che aveva anche una cointeressenza nella Globe Telephone Company di New York. Meucci è nominato sovrintendente tecnico della Globe, raggiunge una meritata notorietà sulla stampa e riceve manifestazioni di simpatia e solidarietà da molte persone.

• 1885 – iniziano i due processi “Governo degli Stati Uniti contro l’American Bell Telephone Company, Alexander Graham Bell ed altri”, volto ad annullare i due fondamentali brevetti Bell, accusati di esser stati ottenuti con frode, e, poco dopo, “American Bell Telephone Company contro Globe Telephone Company, Antonio Meucci, e altri”, volto a stroncare sul nascere l’iniziativa del governo e della Globe Telephone Company a favore di Meucci.

• 1887 – si conclude il secondo processo con la condanna della Globe e di Meucci. Il dispositivo di sentenza non tiene conto delle molte testimonianze e prove esibite a favore di Meucci.

• 1889 (18 ottobre) – Antonio Meucci muore nel suo cottage, a Clifton, ancora fiducioso che il governo degli Stati Uniti otterrà il riconoscimento della sua invenzione nel processo in corso contro la Compagnia Bell.

• 1897 (novembre) – a otto anni dalla morte di Meucci, si conclude il processo del governo contro Bell e la sua compagnia senza vincitori né vinti, sostanzialmente a causa della morte del “prosecutor” per il Governo, Charles S. Whitman, ma formalmente per fermare i notevoli esborsi da ambo le parti.

• 2002 (11 giugno) – Il Congresso degli Stati Uniti approva la Risoluzione N. 269 che riabilita Antonio Meucci.

Il presente lavoro riassuntivo è ricavato dall’opera in due volumi dell’autore “Antonio Meucci – L’Inventore e il suo Tempo – Da Firenze a L’Avana” e “Antonio Meucci – L’Inventore e il suo Tempo – New York 1850-1871” edite da Seat – Divisione STET, rispettivamente nel 1994 e nel 1996. Altre notizie sulla vita di Antonio Meucci possono trovarsi nel sito (in lingua italiana) dell’AEI (Associazione Elettrotecnica ed Elettronica Italiana)